Siluri sulla richiesta di mega frantoio: la competente sezione Assoindustriali ritiene l’impianto un’opera senza le “giustificazioni sul piano economico”
La richiesta costruzione di un grosso impianto per la lavorazione delle olive, avanzata da una cooperativa di coltivatori della zona di Cartoceto, “non trova giustificazione sul piano strettamente economico”.
La sezione Frantoi Oleari, aderente alla Assoindustriali, si dichiara contraria al progetto, che dovrebbe comportare una spesa complessiva di un miliardo circa e che dovrebbe essere portato a termine con “fondi predisposti dall’ente di sviluppo regionale (fino al 60 per cento a fondo perduto)“.
“Su 26 mila quintali di olive lavorate in provincia nella scorsa campagna – dice la sezione Frantoi – 14 mila sono di produzione locale e 12 mila provengono da altre province. I frantoi attualmente in attività nella Provincia di Pesaro sono 21, con una potenzialità di lavorazione globale per l’intera campagna di 54.000 quintali, pari cioè al doppio del totale delle olive lavorate nel 1989 ed al quadruplo delle olive locali. […] Dai dati – continua la nota – emerge un grosso divario tra capacità di lavorazione degli impianti in essere rispetto alla produzione locale, tant’è che gli impianti esistenti debbono andare ad acquistare il prodotto in altre province per poter avere una gestione economica”.
In sostanza, per la sezione Frantoi dell’Assoindustriali, l’impianto congestionerebbe un mercato già saturo, “con l’unica prospettiva quindi di doversi approvvigionare all’esterno e dover offrire così un olio che tutto sarebbe fuorché locale doc […]. In tal modo, si ribadisce, verrebbero ignorate e disattese anche le indicazioni della CEE, che tendono invece ad incentivare il sorgere di impianti che valorizzino le produzioni locali di qualità, nel rispetto della tradizionae e del consumo tipico”.
La sezione Frantoi esprime “dubbi circa la gestione di un impianto di tale dimensione sia sotto l’aspetto organizzativo, sia sotto quello della lavorazione e ridistribuzione. Dubbi leciti – conclude – e giustificati dalla crescente presenza di carrozzoni pagati con il denaro pubblico”.